Prof. Franco Dalfovo
Dipartimento di Fisica, Università di Trento
Corso di Fisica Generale I, secondo modulo
Primo principio della termodinamica
La logica che abbiamo seguito per formulare il primo principio è questa:
- Si producono trasformazioni di un sistema termodinamico tramite
l'azione di apparati meccanici tali da permettere la misura del lavoro
eseguito, W.
- Si considerano trasformazioni tra due stati di equilibrio A e B,
iniziale e finale, senza contatto termico con l'ambiente (trasformazioni
adiabatiche). Si chiama lavoro adiabatico, W_ad, il lavoro compiuto dal
sistema sull'ambiente (sugli apparati meccanici presi come parte
dell'ambiente).
- Il lavoro adiabatico può essere compiuto in vari modi:
lavoro compiuto su pistoni mobili per effetto della pressione
esercitata dal sistema; apparati meccanici che si muovono nel sistema
sottoposti a forze dissipative; correnti elettriche che dissipano
per effetto Joule, ecc.. Gli esperimenti mostrano che
il lavoro adiabatico non dipende dal tipo di trasformazione
ma solo dagli stati iniziale e finale A e B.
- Come conseguenza di questo fatto, possiamo definire una
funzione di stato U (funzione delle coordinate termodinamiche
degli stati di equilibrio del sistema) tale che la variazione di
U nella trasformazione da A a B, ΔU=U(B)-U(A), sia pari a
-W_ad per definizione. Il segno meno è scelto convenzionalmente
in modo che ad un lavoro positivo eseguito dal sistema sull'ambiente
corrisponda una diminuzione di U per il sistema. La funzione U ha
le stesse dimensioni del lavoro e può essere misurata in J.
La chiamiamo energia interna. Ad ogni stato di equilibrio di un sistema
termodinamico è quindi associata un'energia interna, definita a
meno di una costante additiva arbitraria.
- Negli esperimenti si osserva che il lavoro W eseguito tra
A e B quando la trasformazione non è adiabatica è
diverso da quello eseguito nelle trasformazioni adiabatiche tra gli
stessi stati. Si osserva anche che il lavoro dipende dal tipo di
trasformazione. Dato che le trasformazioni generiche e quelle
adiabatiche differiscono solo per l'esistenza di contatti termici
e, quindi, di passaggi di calore, assumiamo che la differenza tra
il lavoro W e quello adiabatico, tra gli stessi stati, sia una
misura del calore scambiato e definiamo il calore come
Q=W-W_ad. Il calore così definito ha le dimensioni del
lavoro, può essere misurato in Joule e non richiede un
campione di misura indipendente.
- Usando la definizione di U nella definizione di Q si può
scrivere Q=W+ΔU, ovvero ΔU = Q - W. Questa relazione
vale per qualsiasi trasformazione tra stati di equilibrio di un
qualsiasi sistema termodinamico ed è nota
come primo principio della termodinamica.
Alcuni commenti:
- Il principio appena enunciato riassume in sè un ampio insieme
di osservazioni sperimentali. Esso contiene:
l'idea che esiste una funzione di stato, energia interna, che varia
nelle trasformazioni termodinamiche a seconda del lavoro eseguito
e del calore scambiato e che rimane costante se il sistema è
isolato termicamente e dinamicamente dall'ambiente;
l'idea che il calore scambiato nelle trasformazioni che coinvolgono
contatti termici sia associato a variazioni di energia dei sistemi
termodinamici coinvolti;
l'idea che calore e lavoro sono grandezze omogenee, entrambe
associate alla variazione di energia interna di un sistema.
- Una volta accettato come principio, esso può essere inteso
come una definizione operativa di U, tramite la misura del lavoro
adiabatico, e anche di Q, tramite la misura della differenza tra
lavoro in presenza di contatto termico e lavoro adiabatico.
In questo schema, il principio non è più verificabile
direttamente negli esperimenti. Ciò che rimane verificabile
è l'insieme delle leggi che se ne derivano nell'ambito della
stessa teoria.
- Avremmo potuto ragionare in maniera diversa, definendo il
calore separatamente a partire dal concetto di caloria e usando i
calorimetri come strumenti di misura di Q. In questo caso, le stesse
osservazioni empiriche che ci hanno portato al primo principio, le
avremmo interpretate in questo modo: in tutte le trasformazioni
termodinamiche tra stati generici di equilibrio A e B di un sistema
qualsiasi, la differenza tra il calore assorbito dal sistema e il
lavoro eseguito dal sistema, Q-W, non dipende dalla trasformazione
ma solo dagli stati iniziali e finali. Potremmo definire così
una funzione U tale che ΔU=Q-W. Il principio è lo stesso,
salvo che abbiamo due definizioni autonome di Q e W. Per misurare
la differenza Q-W dobbiamo assumere che il calore Q possa essere
espresso in J. Il fattore di conversione tra calorie e J può
essere trovato confrontando trasformazioni in cui Q è zero
oppure W è zero, ma gli stati A e B sono gli stessi. Questi
sono gli esperimenti sull'equivalente meccanico della caloria, in cui
si trova che 1 cal = 4.186 J. Il vantaggio di definire Q come
differenza di lavori meccanici in diverse trasformazioni sta
nell'evitare di introdurre un campione di misura indipendente per
Q, quando non è necessario.
- Il concetto di calore, come quello di lavoro, ha significato
solo quando è associato a trasformazioni termodinamiche.
L'esecuzione di un lavoro o lo scambio di calore sono modi diversi
di cambiare l'energia interna del sistema nelle trasformazioni.
Calore e lavoro non hanno significato per un sistema all'equilibrio.
In particolare, dato un sistema all'equilibrio con energia interna U,
è impossibile separare la parte "meccanica" (lavoro) dalla parte
"termica" (calore) dell'energia interna, dato che U è una
funzione unica. Così come una corpo non possiede lavoro, ma
può compiere lavoro in un dato processo, un sistema
termodinamico non possiede calore, ma può scambiare calore in un
dato processo!
- Il primo principio può essere visto come una generalizzazione
del concetto di conservazione dell'energia. Si introduce una nuova
forma di energia (di cui non si conosce a priori la natura, ma si sa
che esiste) e se ne regolano le variazioni in termini di lavoro e
calore.
- Il primo principio vieta il moto perpetuo di prima specie:
è impossibile costruire una macchina (un apparato, un sistema,...)
in grado di eseguire lavoro meccanico in misura maggiore dell'energia
che utilizza per funzionare. Se esistesse, potrebbe funzionare
all'infinito.
- Per ogni trasformazione ciclica (cioè una trasformazione in
cui gli stati finale e iniziale coincidono, B=A), la variazione ΔU è
nulla perchè U è una funzione di stato. Dunque in ogni ciclo
si deve avere Q=W.
- Se una trasformazione implica una variazione molto piccola dello
stato del sistema, la variazione dell'energia interna può essere
calcolata sviluppando la funzione U attorno al suo valore iniziale
tramite le sue derivate parziali rispetto alle coordinate termodinamiche.
Considerando le variazioni al primo ordine, si può riscrivere
il primo principio in forma differenziale dU = δQ - δW
dove dU è un differenziale esatto. Le quantità δQ e δW
non sono invece differenziali esatti perché dipendono dal tipo
di trasformazione e non sono in generale esprimibili in termini di
derivate parziali di alcuna funzione. Il loro significato è
semplicemente quello di quantità di calore assorbito e quantità
di lavoro svolto dal sistema nella trasformazione in esame. Il passaggio
dall'espressione del primo principio in forma differenziale, dU = δQ
- δW, a quello per trasformazioni finite, ΔU = Q - W, equivale
ad una integrazione lungo la trasformazione, a patto che questa sia
quasistatica, cioè passi infinitamente vicina a stati di equilibrio.
Se la trasformazione non è quasistatica, la ΔU = Q - W vale
ancora, ma non può essere ottenuta integrando la dU = δQ - δW
lungo gli stati intermedi.
- Per sistemi idrostatici, il lavoro eseguito dal sistema può
essere espresso tramite l'integrale del prodotto della pressione per
le variazioni di volume. Per trasformazioni infinitesime, si può
scrivere δW=PdV, e il primo principio in forma differenziale
diventa dU = δQ - PdV, che può essere riscritto nella
forma δQ = dU + PdV.
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