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La scienza non è un romanzo giallo, anche se alle volte può
assomigliarvi, e non ha mai un vero finale. La fisica procede nel suo
sviluppo, cercando risposte via via migliori alle domande di fondo
sulla Natura. Una risposta finale non c'è.
Da una storia ci si attende spesso una morale, o almeno qualcosa che
si possa dire di aver imparato. Nell'ipotesi che la ricostruzione fatta
fin qui vi sembri convincente, se ne potrebbe dedurre che:
Planck aveva un suo punto di vista originale su come si realizza il progresso
della scienza:
E' una visione assai diversa da quelle più conosciute
dell'epistemologia moderna,
come quella di Popper, basata sulle procedure di falsificazione delle
teorie tramite esperimenti cruciali, o quella di Kuhn, basata sul
passaggio repentino da un paradigma ad un altro che avviene nel
breve lasso di una rivoluzione che separa periodi di scienza normale,
o le molte varianti di queste. Quella di Planck sembra più
in linea con la "working philosophy" di molti fisici odierni che,
con un'estrema semplificazione, potrebbe essere espressa dal motto "andiamo
avanti e vediamo cosa succederà di bello!". Eppure, come
dargli torto, se si considera che la fisica moderna è nata da:
Einstein, che aveva 26 anni quando scrisse i primi suoi tre lavori
fondamentali; Bohr, che ne aveva 28 quando propose il suo modello
per l'atomo di idrogeno; de Broglie, che ne aveva 30 quando introdusse
il concetto di onde di materia; Heisenberg, che ne aveva 24 quando
introdusse la meccanica quantistica; Pauli, che ne aveva 25 quando
introdusse il principio di esclusione che spiegava la tabella
periodica degli elementi; Dirac che ne aveva 24 quando formalizzò
la meccanica quantistica relativistica e predisse l'esistenza di
antiparticelle;... dunque, una nuova generazione di fisici, liberi
dalle nebbie ottocentesche e, proprio per questo, capaci di
proiettare in avanti la frontiera delle conoscenze.
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