La termodinamica: dal macroscopico al microscopico
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Un colpo di scena?
1. La battaglia di Boltzmann tra fisica e filosofia
(da Enrico Bellone, Il mondo di carta, Mondadori 1976)
Tra il 1866 e il 1884 le sofisticate matematizzazioni di Boltzmann
relative ai fenomeni molecolari scavano, nella fisica ottocentesca,
prospettive insospettate. Il potere degli algoritmi si colora
di aspetti preoccupanti e getta, a sua volta, riflessi strani su una
rete ancora inesplorata di interazioni logiche che sembrano collegare
la meccanica, la teoria dei gas e della radiazione, l'elettromagnetismo
e il calcolo delle probabilità. Buona parte dei dati empirici
si ribella ai risultati boltzmanniani e vasti settori della filosofia
della scienza irridono le pretese, avanzate dal fisico viennese, di
analizzare con la ragione e i simboli le proprietà profonde
del microuniverso.
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(da W. Ostwald, L'Energie, Alean, Paris (1910)
Se al giorno d'oggi un fisico o un chimico vuole mostrarsi uomo
di progresso, dichiara che la materia e l'energia sono due entità
simili o parallele e definisce le scienze fisiche come le scienze
della trasformazione di queste due cose indistruttibili, la materia
e l'energia [...]. Si vedrà che anche il dualismo materia-energia
può essere soppresso, dato che la nozione di materia non
è neanche particolarmente felice. Beninteso, il dualismo
spirito-materia scompare simultaneamente, e si pone la questione di
sapere qual è la relazione dell'energia con lo spirito.
Ebbene - ed è qui che si è realizzato il progresso
più considerevole in questo ordine di idee - per quel che
riguarda la scienza queste nozioni sono dello stesso tipo, e la
nozione di spirito si fonde con quella di energia.
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(da Ludwig Boltzmann, Theoretical Physics and Philosophical Problems,
Reidel Publ. Company, 1974)
Assai di recente, alcuni scienziati hanno pensato di potersi liberare
di queste complicazioni [i modelli meccanici per l'elasticità,
la meccanica dei fluidi, la luce, il calore, l'elettromagnetismo; n.d.r.]
e di esprimere le leggi fondamentali in maniera molto più
semplice. Dato che in ultima analisi arrivavano a dare esistenza
propria soltanto all'energia, si dettero il nome di energetici. Noi
ignoriamo se la nostra concezione attuale della natura sia la più
adeguata; il fatto di aspirare ad un punto di vista più
generale e più elevato di quello della fisica teorica attuale
è dunque perfettamente giustificato. Ma gli energetici d'oggi
non si limitano a una tale aspirazione: sono convinti d'aver già
raggiunto un punto di vista più elevato e pensano che i metodi
d'espressione vigenti nella fisica teorica debbano essere d'ora in
poi abbandonati completamente, o almeno modificati nei loro principi
essenziali, opinione che penso di poter confutare [...].
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(da una biografia di Boltzmann)
Nel 1885, ad una conferenza scientifica che si teneva a Lubecca,
Ostwald presentò una relazione in cui affermava:
L'effettiva irreversibilità dei fenomeni naturali dimostra
l'esistenza di processi che non possono essere descritti da leggi
meccaniche, e con questo si stabilisce il verdetto finale
sul materialismo scientifico.
Sommerfeld, che era presente al congresso, descrisse la conseguente
battaglia tra Ostwald e Boltzmann. Sommerfeld scrisse:
... Boltzmann fu assecondato da Felix Klein. La battaglia tra
Boltzmann and Ostwald sembrava lo scontro tra il toro e il domatore. Ma
quella volta il toro ebbe la meglio... . Gli argomenti di Boltzmann vinsero. Noi, i giovani matematici del tempo, eravamo tutti dalla
parte di Boltzmann... .
Ostwald condusse l'opposizione alle idee di Boltzmann, che erano
contrastate da molti scienziati europei; essi lo fraintendevano,
essendo incapaci di cogliere a fondo la natura statistica del suo
ragionamento.
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(da Ludwig Boltzmann, Theoretical Physics and Philosophical Problems,
Reidel Publ. Company, 1974)
Non c'è più, per così dire, nessuno che ritenga
la forza una realtà, o pensi che si possa produrre una dimostrazione
che l'insieme dei fenomeni naturali sia suscettibile d'una spiegazione
meccanica. [...] Anch'io ho spezzato un tempo una lancia a favore d'un
meccanicismo universale, ma questo soltanto con l'idea di mostrarne l'immensa
superiorità sulle spiegazioni mistiche accettate da tempo. L'opinione
secondo cui il solo modo di spiegare la natura risiederebbe nella
considerazione di punti materiali tra cui agiscono forze a distanza, era
stata quasi unanimemente abbandonata ben prima della dichiarazione di Ostwald.
Oggi siamo diventati ben più prudenti: questa rappresentazione è
per noi una semplice immagine, che non adoriamo, che forse è
suscettibile di perfezionamento, ma alla quale bisognerà forse
rinunciare completamente. Questa immagine è per noi ancora del massimo
interesse, in quanto è la sola che possediamo e che possa
essere sviluppata su dei punti importanti in accordo con l'esperienza.
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(da Ludwig Boltzmann, Theoretical Physics and Philosophical Problems,
Reidel Publ. Company, 1974; tratto da una replica ad un articolo
di Ostwald sulla felicità)
Per quale motivo questo articolo di Ostwald, apparentemente innocuo,
mi sembra così pericoloso per la scienza? Perché segna
un declino verso il piacere per le cose puramente formali, verso
il metodo pernicioso dei cosiddetti filosofi, il metodo che consiste
nel costruire edifici teorici con mere parole e frasi e mettendo enfasi
soltanto nel loro gradevole e formale intreccio; e questo
passandolo sotto la denominazione di fondazione logica, senza
verificare se tutto ciò corrisponda a realtà, se
sia adeguatamente fondato nei fatti. Si tratta di un declino verso
un metodo che consiste nel sottomettere tutto al dominio delle opinioni
preconcette, nel piegare tutto entro gli stessi schemi di classificazione,
nel tentare di forzare tutto artificialmente in un unico sistema.
E' il rifiuto di vedere la vera matematica oltre le mere formule,
la vera logica oltre i sillogismi artificiosi e apparentemente corretti,
la vera filosofia oltre il mero bric-a-brac in veste di filosofia,
il legno oltre i meri alberi. Questo metodo, sfortunatamente, piacerà
sempre alle masse più di quanto possa piacere il metodo
della scienza naturale, dato che questo lascia meno spazio alla
fantasia.
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(M. Planck, citazione tratta da C. Cercignani, Ludwig Boltzmann e la meccanica statistica, Percorsi della Fisica, La Goliardica Pavese, 1997)
Negli anni '89 e '90 del secolo scorso (l'800, n.d.r.), un'esperienza
personale m'ha insegnato quanto un ricercatore, in possesso d'una idea,
sulla quale ha maturamente riflettuto, costasse cercare di propagarla.
Constatava quanto i migliori ragionamenti che esibiva a tal fine, pesassero
poco, perché la sua voce non aveva l'autorità sufficiente
ad imporla al mondo della scienza. In quell'epoca era vano tentare di
contrastare i Wilhelm Ostwald, i Georg Helm, gli Ernst Mach.
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(da Ludwig Boltzmann, Lezione inaugurale del corso di filosofia della
scienza, 1903, in Theoretical Physics and Philosophical Problems,
Reidel Publ. Company, 1974)
[...] Un giorno discutevo animatamente della disputa riacutizzatasi
tra i fisici sul valore delle teorie atomistiche nella sala
dell'Accademia con un gruppo di accademici fra cui il consigliere
di corte, Professor Mach.
[...] In quel gruppo Mach disse all'improvviso laconicamente: "Non
credo che esistano gli atomi". Questa dichiarazione mi rimase in testa.
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2. I pollini del botanico Brown
(da A. Einstein e L. Infeld, L'evoluzione della fisica, Boringhieri,
1965)
Una sorprendente manifestazione del moto di particelle nei liquidi si
ebbe, per la prima volta, con il cosiddetto moto browniano, un
importante fenomeno che, senza la teoria cinetica della materia,
rimarrebbe assolutamente misterioso e incomprensibile. Esso fu osservato
per la prima volta dal botanico Brown e venne spiegato ottanta anni
dopo, al principio del presente secolo (il '900, n.d.r.). L'unico
apparecchio occorrente per studiare il movimento browniano è un
microscopio, anche non molto buono.
Brown stava lavorando con granuli di polline di talune piante, ossia:
...particelle o granuli d'insolite dimensioni, la cui lunghezza variava
fra un quattromillesimo ed un cinquemillesimo, circa, di pollice (da 6 a 5
millesimi di millimetro). [...] Esaminando la forma di queste particelle
immerse nell'acqua mi accorsi che molte di esse si trovavano in moto...
Questi movimenti erano tali da convincermi, dopo ripetute osservazioni,
che essi non potevano essere causati né da correnti nel fluido,
né dalla sua graduale evaporazione, ma che dovevano appartenere
alle particelle stesse.
Ciò che Brown osservava era l'incessante agitazione dei granuli
sospesi in acqua, visibile al microscopio. E' uno spettacolo impressionante!
[...] Come può spiegarsi questo movimento? Esso sembra in
contraddizione con tutta l'esperienza anteriore. La disanima delle
successive posizioni occupate da una particella ogni trenta secondi circa,
rivela la fantastica forma del suo percorso. Tuttavia la cosa più
stupefacente è il carattere manifestamente eterno del movimento.
Un pendolo oscillante, immerso nell'acqua si arresta ben presto se non
è soccorso da una forza esterna. L'esistenza di un moto che non
s'indebolisce mai, sembra contrastare con ogni esperienza. Questo enigma
viene brillantemente chiarito dalla teoria cinetica della materia.
Guardando nell'acqua, anche con i più potenti microscopi, non
riusciamo a distinguere né le molecole né il loro
moto così come viene rappresentato dalla teoria cinetica della
materia. Dobbiamo inferirne che se la teoria considerante l'acqua
come aggregato di particelle è corretta, le dimensioni delle
particelle stesse debbono essere inferiori ai limiti di visibilità
dei migliori microscopi. Continuiamo ciò malgrado ad appoggiarci
alla teoria cinetica e ad ammettere che essa ci offra una raffigurazione
coerente della realtà. Le particelle browniane, visibili al
microscopio, vengono bombardate da quelle molto più piccole
di cui si compone l'acqua. Il movimento browniano si verifica
sempreché le particelle bombardate siano abbastanza piccole.
Il movimento si produce perché il bombardamento non
è uniforme. [...] Il carattere irregolare ed accidentale
del percorso delle particelle immerse rispecchia un'analoga
irregolarità nel percorso delle particelle più piccole
costituenti la materia del liquido. E' perciò plausibile
che uno studio quantitativo del movimento browniano ci offra
una più profonda comprensione della teoria cinetica della
materia. E' chiaro che il movimento browniano visibile dipende
dalla dimensione delle molecole bombardanti. Il
movimento browniano non esisterebbe affatto se le molecole
bombardanti non possedessero una certa dose di energia, o in altre
parole se non possedessero massa e velocità. Non fa
perciò meraviglia che lo studio del movimento browniano
conduca alla determinazione della massa di una molecola.
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Einstein pubblicò il lavoro sulla spiegazione del movimento
browniano nel 1905. Nello stesso anno pubblicò anche il primo
lavoro sulla relatività speciale, e quello sull'effetto
fotoelettrico. Nei resoconti superficiali sulla vita e i lavori
di Einstein, ci si dimentica spesso, a torto,
del suo articolo sul moto browniano, quasi fosse un lavoretto minore.
L'impatto immediato (e duraturo) di tale lavoro fu, al contrario,
assai grande.
Cosa spinse Einstein a occuparsi anche del moto browniano? C'è
qualche collegamento con Boltzmann?
(da C. Cercignani, Ludwig Boltzmann e la meccanica statistica,
Percorsi della Fisica, La Goliardica Pavese, 1997)
[...] Altre applicazioni, di cui Boltzmann era ben conscio, non
furono da lui sviluppate. Forse il caso più clamoroso è
quello del moto browniano; Boltzmann menziona questo moto in un
paio di occasioni [...] ma non sviluppa le conseguenze, per esempio,
di questa osservazione (contenuta in un articolo dello stesso
Boltzmann, del 1886, in risposta alle critiche di Zermelo,
n.d.r.): ... analogamente, si osserva che particelle minute in
un gas eseguono moti che risultano dal fatto che la pressione sulla
superficie può fluttuare.
Doveva toccare ad Einstein [...] elaborare questa osservazione ed
arrivare a una teoria, che avrebbe costituito il punto di partenza
per accertare in maniera indubitabile la struttura atomica della
materia. Osserviamo a questo punto che Einstein doveva aver certo letto
le lezioni di Boltzmann e anche altri suoi lavori e doveva avere anche
una grande stima per lui; a questo proposito appare sufficiente
ricordare che, in una esposizione divulgativa della teoria
della relatività, che non aveva niente a che fare con l'opera
di Boltzmann, lo cita nell'introduzione con la frase: ... ho
scrupolosamente seguito il precetto del geniale fisico teorico
Ludwig Boltzmann, secondo cui i problemi dell'eleganza vanno
lasciati al sarto e al calzolaio.
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(da M.Planck, A Survay of Physical Theory, Dover Publ., 1993;
prima edizione 1925)
However much discussed and however promising this atomic theory might appear, it
was, until recently, regarded merely as a brilliant hypothesis, since it
appeared to many far-sighted workers too risky to take enormous step from the
visible and directly controllable to the invisible sphere, from the macrocosm to
the microcosm. In order that it should imperil the acceptance of his
observations and calculations, Boltzmann himself did not over-emphasize them. He
laid stress on the view that the atomic hypothesis was a mere representation of
what took place. To-day we may go further towards comparing the reality and the
picture, in so far as it has any meaning at all, from the point of view of
philosophers. For to-day we have a series of experiments which invest the atomic
hypothesis with the same degree of certainty as is possessed by the mechanical
theory of sound, of the electro-magnetic theory of light and heat radiations.
[...] The state of a fluid can be made visible by introducing into a
trnsparent liquid, such as water, a number of minute particles or drops
of another liquid, such as gummastic or gamboge. I do not think that
anyone who has observed such a preparation through a properly illuminated
microscope, can ever forget his first view of the play presented
to him. It is a glance into a new world. Instead of the complete tranquillity
he expected, he sees an extraordinarily lively, gay dance of the
small floating particles, in which the smallest behave in the most
erratic way. [...]
The phenomenon described was discovered in the
year 1827 by Brown, the English botanist, but it had been deduced by the
French physicist Gouy, twenty-five years earlier, from the movements of
molecules in an heated fluid. This molecules, themselves invisible,
continually collide with particles floating around them (which are
visible in a microscope) and are impelled along irregular paths.
The final theoretical proof of the correctness of this explanation
was first given quite recently , when Einstein and Smoluchowsky obtained
statistical laws governing the distribution of density, the velocity,
the mean free paths, and even the rotations of the microscopic
particles, and these laws were most strikingly confirmed
quantitatively in all details, particularly through the experimental
worl of Jean Perrin.
There can be no doubt now, in the mind of the
physicist who has associated himself with inductive methods, that matter is
constituted by atoms, heat is movement of molecules, and conduction of heat,
like all the other irreversible phenomena, obeys, not dynamical, but statistical
laws, namely, the laws of probability.
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La spiegazione del moto browniano in termini di movimento
di atomi dirada una delle nubi di Kelvin. Gli atomi possono
prendere il loro posto nelle teorie fisiche, senza
imbarazzi epistemologici. Non sono gli atomi di Democrito,
ma oggetti composti a loro volta da particelle più
elementari, come mostravano gli esperimenti sugli elettroni
e la radioattività; ma questo, anziché essere un
ostacolo, diventa uno stimolo ad aprire nuovi fronti
d'indagine. L'interpretazione einsteiniana non è
altro che la spallata finale ad un'idea anti-atomistica
contro cui Boltzmann aveva compiuto il grosso dell'azione,
creando la meccanica statistica dalle sue basi e predisponendo
il quadro di riferimento in cui collocare la nuove ipotesi
sugli atomi e le molecole, i gas, la termodinamica. Per dare
la spallata finale, c'è voluta l'intuizione della
mente giovane di Einstein, poco sensibile ai pregiudizi
di metodo e di filosofia che impedivano, fino ad allora,
di vedere nei pollini di Brown quello che era semplice
vedere. Ed è sempre lui che dirada anche l'altra
nube, soffiando via per sempre l'etere impalpabile
dell'elettromagnetismo, grazie alla relatività
speciale.
Si può dire che diradando le nubi la fisica supera
le sue crisi? Se è vero che da queste nuove idee
la fisica degli inizi del '900 prende uno slancio
impetuoso verso i successi della fisica moderna, è
anche vero che la fisica, già da prima, non era affatto
in crisi, se si considera la rapidità e la quantità
delle scoperte. E anche chi, come Kelvin o Poincaré,
individuava i problemi
cruciali a cui necessitavano risposte urgenti, lo faceva
con la consapevolezza che la fisica, seguendo i passi
sicuri della corretta formulazione dei problemi e della
ricerca continua e onesta, sarebbe comunque arrivata a nuove
risposte e, poi, a nuove domande ancora.
Dunque, se rileggiamo attentamente quegli anni attorno al 1900,
siamo portati a concludere che la formula di Planck per la radiazione
di corpo nero, pur rappresentando l'inconsapevole punto d'avvio della
meccanica quantistica, non può essere caricata di un
ruolo che non ha avuto nei fatti: quello di aver inferto un
colpo fatale alla fisica classica. Il vero passaggio alla fisica
moderna consiste piuttosto nell'aver tolto la fisica classica dalle
nebbie in cui l'avevano avvolta le discussioni sul meccanicismo,
sull'energetica, sull'etere, e tutto il resto. E le nebbie si sono
diradate quando qualcuno ha "visto" gli atomi in un esperimento
che potremmo definire "cruciale" alla maniera di Popper , se non
fosse che l'esperimento di Brown era stato compiuto
quasi 80 anni prima, e se non fosse che quell'esperimento
non falsificava alcuna teoria, ma semplicemente spazzava via le
obiezioni, più metafisiche che fisiche, all'esistenza degli
atomi. Visti gli atomi, la fisica accelera il suo passo verso
nuovi orizzonti, e la fisica classica, con opportune correzioni
di rotta, partecipa a pieno titolo agli sviluppi seguenti (è
la fisica classica che Rutherford usa per interpretare i suoi
esperimenti sulla struttura interna degli atomi, è ancora
la fisica classica a servire da guida alla formulazione della teoria
dei quanti; è ancora lei ad essere utilizzata nelle odierne
simulazioni di dinamica molecolare, ecc.).
Ma allora, se tra l'800 e il '900 fisica non era in crisi, chi era
il cadavere nella scena iniziale del nostro immaginario romanzo giallo?
3. Fisica e filosofia, separazione non consensuale
(da Ludwig Boltzmann, On statistical Mechanics relazione tenuta
a S. Louis nel 1904, in
Theoretical Physics and Philosophical Problems,
Reidel Publ. Company, 1974)
Tra le questioni menzionate in precedenza, tanto antiche quanto lo
è la scienza ma finora non risolte, ci sono le domande relative
alla materia, se sia concepibile come un continuo o se sia composta
da un insieme discreto di costituenti (molti elementi
discreti, ma non infiniti in senso matematico). Questa è una
delle questioni più difficili tra quelle che segnano il confine
tra le aree della filosofia e della fisica.
Recentemente, fino a non più di pochi decenni fa, gli scienziati
erano molto diffidenti riguardo alla prospettiva di inoltrarsi in
discussioni su questi argomenti. La questione è di
tale interesse per la scienza da non poter essere ignorata, ma
non può nemmeno essere discussa senza toccare nel contempo
alcuni problemi ancora più profondi, quali la natura della
causalità, della materia, delle forze, e così via.
Questioni come queste non vengono considerate solitamente come
proprie degli scienziati, ma piuttosto si tende a metterle in mano
totalmente alla filosofia. Al giorno d'oggi le cose sono molto
cambiate e, invero, gli scienziato stanno cominciando a mostrare
una forte predilezione per le discussioni attorno ad argomenti
filosofici [...]. Tuttavia, una volta esaminati gli elementi
più semplici, dove dovrebbe trovarsi la frontiera tra
scienza e filosofia?
Spero che nessuno dei filosofi presenti ne sia risentito o lo
consideri un rimprovero, se affermo francamente che l'aver
delegato queste questioni alla sola filosofia ha forse prodotto
cattivi risultati. La filosofia si è dimostrata assai
inefficace nel dare risposte chiare [...].
(...segue breve digressione sulla filosofia di Kant)
Questa non è stata certo l'unica occasione nella quale
il pensiero filosofico sia finito in un intrico di contraddizioni;
al contrario, ciò succede ad ogni suo passo. Per la filosofia
le cose più ordinarie sono sorgenti di puzzle insolubili.
Al fine di spiegare le nostre percezioni essa costruisce il
concetto di materia e, in seguito, trova il concetto di materia
alquanto inutile sia in se stesso che come causa delle percezioni
nella nostra mente. Con grande ingegnosità essa costruisce
i concetti di spazio e di tempo e, in seguito, afferma che è
assolutamente impossibile che vi siano oggetti in questo spazio o che
accadano eventi in questo tempo. Essa trova difficoltà
insuperabili nelle relazioni tra causa ed effetto, tra corpo
e anima, nella possibilità che esista la coscienza, in breve,
in ogni cosa e in tutte le cose. Invero, la filosofia trova
alquanto inspiegabile che qualsiasi cosa possa esistere [...].
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(Ludwig Boltzmann, da una relazione pubblica "Su una tesi di
Schopenhauer", 1905, in Theoretical Physics and Philosophical Problems,
Reidel Publ. Company, 1974).
Nota: il titolo proposto inizialmente da Boltzmann per la conferenza,
e poi modificato, era: "Dimostrazione che Schopenhauer era un filosofastro
stupido e ignorante, che scarabocchia cose senza senso e dispensa
vacuo parolame, che fa marcire il cervello della gente in maniera
fondamentale e duratura". Questo titolo, come spiegato dallo stesso
Boltzmann nella sua relazione, è tratto pari pari da
una affermazione di Schopenhauer riferita ad Hegel.
Così dobbiamo cambiare tutte le leggi del pensiero in modo che
esse conducano ovunque allo stesso obiettivo, che si accordino con
l'esperienza, e che il superamento di una frontiera avvenga entro i
limiti posti da regole appropriate. Anche se questo ideale non sarà
presumibilmente mai realizzato del tutto, possiamo comunque andarci
vicini, e questo assicurerà la cessazione dell'inquietudine
e dell'imbarazzante sentimento che si prova pensando che sia un'enigma
il fatto di esser qui, che il mondo esista e che sia fatto com'è fatto,
che sia incomprensibile la causa di questa connessione regolare tra causa
ed effetto, e così via. Gli uomini saranno allora liberi da
quell'emicrania spirituale che si chiama metafisica.
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(da Enrico Bellone, Il mondo di carta, Mondadori 1976)
Con la parola meccanicismo si indica, in generale, un complesso
di credenze filosofiche e di regole metodologiche che costituirebbero
una specie di nucleo, pressocchè immodificabile, atto a
guidare e a definire l'insieme delle ricerche teoriche e sperimentali
nelle scienze della natura durante i secoli compresi tra il sorgere
del pensiero di un Galileo e di un Cartesio e il chiudersi dell'Ottocento.
E' conseguente a quest'uso del termine meccanicismo l'opinione
secondo cui la radice della fisica contemporanea (nelle sue
componenti relativistiche e quantistiche) affonda in un verdetto
filosofico contro il meccanicismo stesso e in una crisi profonda
del pensiero fisico: verdetto e crisi che si sarebbero verificati,
in un arco di tempo relativamente breve, tra la fine dell'Ottocento
e i primi del Novecento. Una rilettura delle opere dei fisici
settecenteschi e ottocenteschi sembra tuttavia sfuggire a una
simile etichettatura, non appena ci si accorge che in quelle
opere non è presente soltanto l'estensione dei
programmi meccanicisti del Seicento e del primo Settecento, ma
è soprattutto viva la critica interna di quei
programmi, la riflessione attorno ai loro limiti e la crescente
consapevolezza della necessità di modificare radicalmente
l'immagine meccanicista della natura. [...] La seconda rivoluzione
scientifica, che viene qui vista originarsi tra la fine del Settecento
e i primi decenni dell'Ottocento, si è dapprima articolata
in rapporto alle nuove teorie della termodinamica, il campo
elettromagnetico, la radiazione e la meccanica statistica. [...] le
rivoluzioni sono processi ricchissimi di elementi e di rapporti, e
non salti o svolte repentine. Il che va ripetuto per non
risolvere completamente il travaglio della fisica classica in una
caduta improvvisa. [...] Si tratta di una tentazione quanto mai
diffusa: e chi ne è vittima è portato ad immaginare
una storia della fisica che si lacera, nelle sue trame, a cavallo
tra i due secoli, e a vedere le nuove teorie sulla relatività
e sui quanti sotto forma di emergenze improvvise, scaturite repentinamente
da un vero e proprio buco nella storia. Questa illusione storiografica
ha radici in una particolarissima situazione della filosofia. Molte
scuole filosofiche, giunte in ritardo rispetto alle modificazioni
radicali che la fisica classica aveva ormai inciso nel lascito
galileiano-newtoniano, tentarono di superare quel ritardo addebitando
alle scienze la propria crisi. Dopo aver caricato il termine
meccanicismo di una portata tale da ricoprire l'intero percorso
da Galileo a Planck, gran parte della filosofia del Novecento
interpretò le nuove scienze del nostro secolo in chiave di
rottura definitiva e di svolta in tempi brevi rispetto a "quel"
meccanicismo. Ma "quel" meccanicismo esisteva solo nella filosofia:
facendone carico alla fisica classica, i filosofi poterono, a
maggioranza, deliberare che il secolo ventesimo si apriva sotto
il segno di una crisi senza precedenti del pensiero fisico, [...]
mentre la filosofia poteva dipingere se stessa come colei che rende
i fisici consapevoli di ciò che fanno e di ciò che
non debbono fare.
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4. Una svolta nelle indagini
Ebbene, se tutto ciò che abbiamo raccontato finora è verosimile,
allora dobbiamo concludere che il nostro giallo ha un finale a sorpresa.
Il cadavere iniziale non è quello di una teoria fisica,
ma è solo un fantoccio creato dalla filosofia, una parvenza di
teoria fisica che la filosofia ha modellato e trascinato in mezzo alla
scena allo scopo di sviare l'attenzione dalla sua crisi profonda.
Gli atomi, gli elettroni, i raggi X, e tutto quanto emergeva dalla
fisica di quegli anni metteva a nudo l'incapacità della filosofia
di rispondere alle domande fondamentali riguardanti la natura dello
spazio, del tempo, della sostanza, della materia.
(da Enrico Bellone, Il mondo di carta, Mondadori 1976)
La cosiddetta crisi della fisica, scoppiata secondo molti filosofi
a causa del crollo del meccanicismo classico e del materialismo volgare
o metafisico, non è altro che una metafora letteraria per
coprire il rifiuto filosofico di prendere atto delle trasformazioni
provocate dalla seconda rivoluzione scientifica nel dominio delle
teorie. Il ritardo della filosofia consiste nel rifiuto di
quest'ultima a modificare se stessa in funzione delle scoperte
scientifiche.
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E non è un caso se molti testi di storia della scienza,
scritti da filosofi della scienza dal 1900 in poi, dicano che la
fisica vive un periodo di crisi, che questa crisi sarebbe cominciata
intorno alla metà dell'800 e non sarebbe ancora finita (per un
esempio si veda G. Preti, Storia del pensiero scientifico, Mondadori
1957). Ma quanti tra i fisici odierni inserirebbero la meccanica
quantistica, la teoria della relatività, la teoria dei campi
e delle particelle, le teorie sulla struttura della materia, in un
contesto di crisi della fisica? La distanza tra le due visioni è
una misura dello strappo che si è verificato tra fisica e
filosofia alla fine dell'800, attorno alle idee della termodinamica
e dell'elettromagnetismo, l'etere e la materia, gli atomi e l'energia.
Boltzmann è stato nel contempo origine e vittima di questo strappo.
Stanco e depresso, abbandonò la vita nel 1905, prima di poter
vedere con i suoi occhi le nuove teorie e le grandi innovazioni che,
di lì a breve, avrebbero cambiato il volto della fisica, grazie
anche (o forse soprattutto) alle sue idee.
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